spazio condiviso

by Aldo Anchisi Aldo Anchisi Nessun commento

Dialoghi Minimi sulla Finanza #3:Ti prego, ascoltami!

Terzo appuntamento, e siamo già a una richiesta esplicitamente accorata: ASCOLTAMI. Ho voluto perciò aprire il mio speech con un dipinto di Edward Hopper (Room In New York, del 1932) che potrebbe intitolarsi proprio così: Ti prego, ascoltami.

Interno sera. Lui e lei condividono uno spazio, ma ciascuno è per conto proprio, perso nel suo. Lui legge il giornale, stanco da una giornata di lavoro; lei un po’ distante dal tavolo è per metà assorta e metà annoiata dalla lettura di un libro che probabilmente parla di mondi lontani dalla triste quotidianità del loro appartamento. Entrambi urlano silenziosamente la loro invocazione di essere ascoltati, e capiti. Lei lo pensa ma non lo dice, lui lo pensa (forse). E’ l’America del benessere di Hopper – anche se il Benessere arriverà vent’anni dopo questo particolare quadro – ma i soggetti dei suoi dipinti spesso sono benestanti sebbene non comunichino, restando ciascuno nel proprio tinello, in locali spogli, senza tende, un mondo intimo che non condividono e da cui raramente si proiettano fuori. Siamo alla non-comunicazione. Anche se il Primo Assioma della Comunicazione recita proprio: non si può non comunicare.

Che c’entra Hopper con la Finanza? Centra, eccome. Perché in campo finanziario le cose stanno più o meno alla stessa maniera. Con una sola differenza: che Lei o Lui, il nostro cliente insomma, già da mesi o anni sta urlando silenziosamente alla sua banca l’esigenza di essere ascoltato. E chi di noi consulenti proviene dal mondo bancario, questo lo sa bene. C’è poi chi ha fatto finta di non vederlo, chi si è fidato del proprio datore di lavoro non rendendosi conto che lo allontanava inesorabilmente dalla clientela, e c’è infine chi ha scambiato la propria vocazione all’assistenza per Consulenza, ma non lo era. Era anche quella non-comunicazione!

Oggi, nei seminari con i nostri clienti, noi consulenti ci interroghiamo spesso su quale sia il nostro ruolo, e capita di chiedere ai nostri clienti cosa si aspettino da noi. E in quell’ambiente rilassato accade una cosa strana. In un primo momento le risposte dei clienti si somigliano tutte, ed emergono quelle che potremo chiamare Buone Qualità: saper informare, saper consigliare, analizzare, monitorare.

La prima qualità nasce dal disallineamento informativo che esiste normalmente tra noi e il cliente, che giustamente fa un altro lavoro e non può sapere tutto anche dei movimenti finanziari. Giusto. La seconda qualità nasce invece dalla presenza di uno scaffale di prodotti che al giorno d’oggi è diventato immenso, e le scelte sono complicate e vanno fatte in velocità, il che moltiplica il rischio di sbagliare. La terza e la quarta caratteristica, la capacità di analisi e di praticare il monitoraggio, sono esse stesse la radice del nostro lavoro: lo studio degli strumenti finanziari, la costruzione di un buon portafoglio e il suo monitoraggio costante perché resista nel tempo. Tutto giustissimo.

Peccato che queste prime quattro siano caratteristiche che non qualificano il Buon Consulente, ma semmai il Consulente Semplice. Queste sono in realtà caratteristiche che vengono date per scontate, dal cliente, ed è questo che emerge se andiamo in profondità con i ragionamenti condivisi. E allora ci si accorge che come ci si aspetta da un medico che “sappia” di Medicina, e da un avvocato di Diritto, la competenza tecnica di un consulente finanziario viene data per scontata dal cliente, che quindi si aspetta qualcosa di più, perché possa parlare di un Buon Consulente.

Molto faticosamente, allora (ed è strano, perché si pensa che dovrebbe essere molto più in superficie, come concetto) si delinea la caratteristica dell’Ascolto. Ciò che ci lega, e che ci fa uscire dalla desolazione del quadro di Hopper. La capacità di ascoltare.

Nelle mie conversazioni pubbliche proietto a questo punto uno spezzone di film che spiazza gli spettatori perché non parla di Finanza, ma che secondo me centra in pieno il problema di cui parliamo oggi. Il film è del 2010 e si intitola Temple Grandin, ed è la storia – magistralmente interpretata dall’attrice Claire Danes – della professoressa della Colorado State University Temple Grandin (la signora che vedete qua in foto), psicologa, zoologa, considerata la massima esperta al mondo di gabbie per contenimento del bestiame. 

Temple Grandin

Questa sua abilità Temple Grandin la deve a una sua peculiarità: quella di essere affetta sin dalla nascita dalla Sindrome di Asperger. Per chi non fosse pratico di malattie, si tratta di una “variante ad alto funzionamento dello spettro autistico”. La Grandin, nata negli anni quaranta quando ancora si studiava poco questa malattia, ha coltivato nella sua vita una grande determinazione che l’ha portata a laurearsi tre volte, ottenere una cattedra universitaria di prestigio, e a sviluppare un contributo incisivo agli studi sull’autismo proprio per la sua voglia di comunicare all’esterno quelle che erano le sue esigenze, e come lei “sentiva” la vita. Sulla base della sua personale esperienza, Temple Grandin ha fornito alla scuola un supporto fondamentale nell’individuazione degli insegnamenti che possano risolvere le problematiche dei bambini autistici, combattendo comportamenti inadatti in favore di altri più adeguati. Semplicemente dicendo apertamente di cosa ha bisogno un ragazzo autistico, invece che si faccia accademia senza avere il coraggio di fare domande facili e dirette.

Lei, per esempio, racconta spesso di essere ipersensibile ai rumori e ad altri stimoli sensoriali e di provare il bisogno di trasformare ogni cosa in immagini visive. Che è una modalità come un’altra di comunicazione. Anzi, parlando del suo successo come progettista, la Grandin afferma sempre che dipenda proprio dalla sua condizione di autistica. È a partire da tale condizione infatti che lei sostiene di riuscire a soffermarsi su dettagli minutissimi ed è in grado di utilizzare la memoria visuale come fosse un supporto audiovisivo, sperimentando mentalmente le diverse soluzioni da adottare. In tal modo riesce a prevedere anche le sensazione che proveranno gli animali sui quali verrà utilizzata l’attrezzatura.

Tutta comunicazione, quindi, su piani differenti ma estremamente tarata sulle caratteristiche del nostro interlocutore/cliente. Porre l’Ascolto alla base del nostro lavoro conferisce a  tutto il resto una semplicità disarmante: se io pratico l’ascolto, tra me e il mio cliente si apre un canale di comunicazione efficace in cui le esigenze e i desideri suoi mi vengono trasmessi linearmente, e a me non resta che trovare insieme a lui la soluzione. Ne convenite che stiamo disegnando una relazione di altissimo livello, e di altissima soddisfazione per entrambi? Tutto il resto discende da questo, e fa parte della pratica quotidiana per la quale abbiamo capacità, competenze tecniche e supporti informatici, oltre che esperienza. Ma questa è un’altra storia…

Si potrebbe parlare per ore della pratica dell’Ascolto. E capire cos’è l’empatia, l’intelligenza emotiva, saper distinguere l’ascolto passivo dall’ascolto attivo. Personalmente sono anni, che studio questi argomenti, sulla linea di confine tra la psicologia, la filosofia, l’ingegneria statica e la matematica finanziaria.

Come promesso all’inizio del nostro percorso finanziario, il messaggio più valido è anche il più semplice. Ascoltare: con umiltà, apertura mentale, capacità di condividere emozioni. E vi lascio con un’immagine che ci riporta a un antico gioco d’infanzia. Che è sempre Comunicazione (e questo ci piace assai) ma contiene un rischio: quello dello stravolgimento delle informazioni nel passaggio tra trasmittente e ricevente. Ci torneremo su, anche questo è evitabile.

Aldo Anchisi, Consulente All’Ascolto

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